Questa sera, su Rai 2, andrà in onda “Gli uomini d’oro”, film commedia del 2019 del regista Vincenzo Alfieri. Nel cast del lungometraggio figurano personaggi noti al grande pubblico, come Fabio De Luigi, Edoardo Leo, Giampaolo Morelli e Giuseppe Ragone, oltre a Gianmarco Tognazzi.
Forse non tutti sanno che “Gli uomini d’oro” si basa su fatti realmente accaduti a Torino. Era il luglio 1996, quando due dipendenti di Poste Italiane rapinarono il proprio furgone con l’aiuto di altri due amici. Un fatto che venne poi raccontato in un articolo del giornalista di Repubblica, Meo Ponte, che raccontava come questi personaggi così “comuni” e fragili fossero riusciti a mettere a sogno un colpo davvero notevole, servendosi solo della loro astuzia e del loro ingegno.
“Gli uomini d’oro” era proprio il soprannome che venne dato ai componenti della banda, che sostituirono il denaro prelevato dal deposito di Corso Tazzoli, a Torino, e contenuto nei sacchi con carta straccia di pari peso. Domenico Cante e Giuliano Guerzoni si fecero assistere da Enrico Ughini, pensionato delle Poste, che si nascose in un vano blindato situato all’interno del furgone e procedette alla sostituzione.
Per espatriare in Costa Rica dopo la rapina, i due si rivolsero a Ivan Cella, un barista della Valsusa, che avrebbe loro fornito i passaporti. Tuttavia, in seguito ad un errore di Ughini, una parte consistente del bottino (577 milioni di lire su un colpo complessivo di oltre 2 miliardi) rimase nel furgone, consentendo alle forze dell’ordine di avviare le indagini che portarono allo smascheramento del gruppo criminale.
Diciassette giorni dopo i corpi senza vita di Guerzoni e Ughini furono ritrovati da un contadino nei pressi di Bussoleno. I responsabili dell’omicidio furono individuati in Cante e Cella. Il primo fu condannato a 28 anni e 9 mesi di carcere, dove morì nel 2004; Cella tentò la fuga in Albania con la sua fidanzata, Cristina Quaglia, ma entrambi vennero arrestati a Tirana.
Dopo un paio di mesi approfittarono di alcuni tumulti per fuggire nuovamente in Bolivia, ma dopo poco vennero ancora una volta arrestati ed estradati. Anche per Domenico Cante la pena fu di 28 anni e 9 mesi, mentre Cristina Quaglia venne condannata a due anni per favoreggiamento. Buona parte del bottino non è stata mai ritrovata.
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