Si sono appena conclusi i David di Donatello, gli Oscar del cinema italiano in un’edizione che ricorderemo per la presenza dei candidati in collegamento da casa.
“Il traditore”, film di Marco Bellocchio si porta a casa sei statuette: film, regia, attore protagonista, Pierfrancesco Favino, e non protagonista Luigi Lo Cascio, sceneggiatura originale e montaggio.
Da questo trionfo a piene mani è, inoltre, arrivata l’occasione, come titolo italiano, per concorrere agli Oscar.
Il film vede Pierfrancesco Favino come protagonista, ha incassato oltre 4,7 milioni di euro al botteghino e ha già ottenuto sette premi ai Nastri d’argento.
L’opera diretta da Bellocchio è stato l’unico film italiano presentato in concorso al Festival di Cannes 2019.
La Trama
Il film si impernia sulla collaborazione tra il pentito mafioso Tommaso Buscetta e la giustizia italiana, concentrandosi sul cambiamento di un uomo che decide che le regole del suo gruppo non gli appartengono più e che, sentendosi minacciato, vuole vendicarsi rompendo la regola dell’omertà, diventando ufficialmente un traditore.
Tuttavia dal punto di vista del regista il tradimento del film non è quello di Buscetta alla mafia ma quello di Totò Riina e dei Corleonesi ai valori dell’organizzazione criminale.
Tommaso Buscetta (Pierfrancesco Favino), affiliato di Cosa Nostra e conosciuto come “boss dei due mondi”, intuisce l’imminente guerra tra famiglie e decide di trasferirsi in Brasile, dove potrà seguire i suoi affari in tranquillità.
Come ha previsto, dopo la sua partenza iniziano le tensioni e cadono le prime vittime della faida, tra cui due dei suoi figli e suo fratello. Ma Buscetta viene catturato e torturato dalla polizia brasiliana. Il mafioso capisce che sta andando incontro a morte certa quando viene concordata la sua estradizione in Italia.
Inaspettatamente, il giudice Giovanni Falcone (Fausto Russo Alesi) gli offre una via d’uscita: collaborare con le forze dell’ordine e la magistratura, godendo della protezione dello Stato.
Buscetta, che da tempo non si riconosce più nelle azioni violente e senza scrupoli di Cosa Nostra e legato ad un’idea di mafia che protegge la povera gente, decide di accettare, anche per vendicarsi delle rappresaglie e delle persecuzioni a danno suo e della sua famiglia. Diventa così il primo collaboratore di giustizia della storia italiana, rendendo possibile l’istituzione nel 1986 del maxi-processo con 475 imputati nell’aula-bunker di Palermo, dove le sue testimonianze – e quelle di Totuccio Contorno (Luigi Lo Cascio) – porteranno alla condanna e all’arresto di numerosi esponenti della mafia, messa per la prima volta a dura prova e sotto i riflettori dello Stato e dell’opinione pubblica.
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