Come ogni notte (dal lunedì al venredì dalla mezzanotte alle quattro) ‘I Lunatici’ ci hanno fatto compagnia su Radio 2 e, come spesse notti, Roberto Arduini e Andrea Di Ciancio hanno offerto ai propri ascoltatori una prestigiosa intervista (con un’artista che ha poi raccontato di esseere un fan del programma).
Nella notte appena conclusa, ad intervenire è stato il comico toscano Giorgio Panariello che – come spesso in questi casi – si è raccontato, tra vita privata e vita pubblica, tra professione e intimità.
E sono state tante le confessioni legate alla propria vita privata, quelle offerte da Panariello, che ha raccontto come di fatto sia cresciuto con i propri nonni:
“Io sono stato adottato dai miei nonni perché mia madre se ne è fregata di me. Era una ragazza madre, non sapeva come gestire la cosa, mi ha lasciato all’ospedale. I miei nonni sono venuti a prendermi e mi hanno portato in Versilia con loro. L’anno dopo è nato mio fratello, loro avevano già cinque figli, non potevano tenere in casa un altro ragazzino, perché mia madre aveva lasciato anche lui, non potevano adottarlo, e lo hanno messo in un collegio. Poi nel tempo ci siamo ritrovati. Vedevo questo ragazzino che veniva a casa per le feste comandate, per il suo compleanno. Pensavo fosse un amichetto. Poi col tempo ho iniziato a fare domande, e mi hanno detto che era mio fratello. Franco ha preso con grande dolore questo abbandono doppio, ho convissuto con la sua vicenda, che poi ho anche raccontato in un libro. Però devo essere sincero. Ho avuto un’infanzia dura, difficile, ma non infelice. I miei nonni non mi hanno fatto mancare niente. Purtroppo non hanno potuto fare la stessa cosa con mia fratello”.
Quindi, sulla strada verso la celebrità, questo è stato – sintetizzando – il processo che ha portato Panariello ad essere un artista noto in tutto il Paese (prendiamo vari stralci di quanto dichiarato, dal suo modo di essere durante l’infanzia al successo vero e proprio):
“Da piccoletto, alle elementari o alle medie, io riempivo i quaderni, i fogli, i libri e il banco con le mie firme. Firmavo in continuazione. Sembrava una prova d’autografo. A 8 anni mi chiudevo in bagno e con la spazzola di mia nonna mi intervistavo. La verve comica è venuta dopo. Io all’inizio dovevo far casino. Non tanto per il gusto di disturbare, ma perché volevo attirare l’attenzione. Dovevano guardare me, per quale motivo non lo so. La cosa delle imitazioni è nata dopo. (La popolarità) non è arrivata dal giorno alla notte. Due momenti fondamentali della mia vita sono stati quando ho incontrato Carlo Conti, l’ho conosciuto in Calabria, Carlo ha ideato Vernice Fresca, una sorta di Zelig dell’epoca, e lì per strada hanno iniziato a gridarmi i tormentoni per strada, a chiedermi i primi autografi. Fu una cosa grossa. E poi dopo questo successo ho dovuto capitalizzarlo a livello nazionale, ma era difficile, perché eravamo molto regionali. Poi ho iniziato a fare i miei spettacoli e al teatro Parioli di Roma mi vide Agostino Saccà, e mi disse se avrò l’occasione ti farò lavorare in Rai. Appena diventò direttore mi chiamò. Lì iniziò Torno Sabato. E cambiò davvero la mia carriera. E’ stata una cosa meravigliosa”.
Impossibile non parlare del rapporto con il già citato Carlo Conti e con un altro conterraneo come Leonardo Pieraccioni:
“Siamo amici da tanto tempo. Pieraccioni? Ci unisce la stima l’uno dell’altro. Alla fine possiamo essere amici perché abbiamo iniziato insieme, Conti e Pieraccioni sono cresciuti insieme, io no, ma da fine anni ’80 abbiamo sempre lavorato insieme. La cosa che ci lega, oltre all’amicizia, è la stima. Siamo due battitori liberi, due cani sciolti, fare spettacoli insieme se non c’è stima sarebbe molto difficile. E non siamo competitivi l’uno con l’altro. Io Conti e Pieraccioni abbiamo anche in comune una storia che è fatta di no, di risate alle spalle, di gente che non ci credeva, che non ci dava fiducia. Alla fine però la volontà paga. Questo era il nostro destino. Una volta, all’inizio della nostra carriera, io Conti e Pieraccioni facevamo il nostro primo spettacolo insieme. Una sera, a Grosseto, abbiamo fatto 32 paganti e in più ci hanno fatto la multa alle macchine a tutti e tre. Perché le avevamo messe male”.
Infine, interessante riportare il suo pensiero sul politicamente corretto – certamente limitante per un artista comico:
“E’ un disastro. Ci sono quelli che sono sempre stati politicamente scorretti, per cui anche essere politicamente scorretto premia. Se lo sai fare o hai la patente per farlo. Zalone può dire qualsiasi cosa. Benigni ai suoi tempi poteva dire qualsiasi cosa. E’ difficile, certe battute non si possono fare, certe cose non si possono dire, con tutta onestà devo dire che ci sia una autoregolamentazione, io cerco di non offendere nessuno, però ho dovuto cambiare molto, essendo toscano, il cinismo toscano è una parte fondamentale della mia comicità quindi qualche volta può capitare di scivolare in una battuta. Anche mettere un post sui social è un casino”.
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