‘Mi piove nella birra’ è il nuovo singolo del cantautore romano Andrea Strange. Classe 1992, la sua scrittura si muove tra bellezza e disagio. Un poeta urbano che spazia perfettamente nei meandri dell’Indie Folk. Nel suo ultimo brano tra empatia e sorrisi disegna il suo universo fatto di riflessioni, guardando il mondo con occhi diversi e con il suo intimo punto di vista.
D: Andrea, sin dalla giovanissima età di 15 anni, hai iniziato a calcare i palchi, fino al secondo posto al Premio De Andrè. Che percorso è stato il tuo?
R: Travagliato e appassionato. Ho iniziato a scrivere appena ho imparato a farlo. Poi, verso i 13 anni mi sono innamorato del punk che mi ha mostrato un nuovo modo di esprimermi ed ho iniziato a suonare e scrivere canzoni. Ho avuto un paio di gruppi con cui suonavo nei paesini della provincia di Roma, dove sono cresciuto. Verso i 19 anni, mi sono trasferito nella capitale e li c’è stato il grande cambiamento. Ritrovandomi da solo ho intrapreso un percorso più acustico e cantautorale. Ho studiato canto, conosciuto molte persone del mondo della musica e imparato tanto. E’ stato il periodo artisticamente più produttivo fino ad allora. Ho suonato e scritto moltissimo, sperimentato, collaborato con diversi altri artisti e definito al meglio la mia arte e il mio modo di fare canzoni. Ma questo mio viaggio con l’arte è in continuo divenire e non si ferma certo qui, quindi chissà, magari il meglio deve ancora arrivare.
D: In ‘Mi piove nella birra’ c’è una sottile linea tra l’ossimoro e la drammaticità. Come è nata la scrittura del brano?
R: Spesso nelle mie canzoni viaggio su due binari, emotività ed ironia. E in questa lo faccio particolarmente. Proprio perché nasce da una battuta, un’esclamazione goliardica che fece un mio amico quando, mentre bevevamo birra ad un concerto, iniziò a piovere. Trovai questa immagine divertente ma anche un po’ triste. Da questa ispirazione è nato questo urlo di disperata indignazione accompagnato però da un’ironia sdrammatizzante che si manifesta in quel “[ma dai!]…mi piove anche nella birra”. Spero che faccia sorridere ma anche empatizzare e riflettere, un po’ come ha fatto con me la frase del mio amico.
D: Provieni dal un luogo che sicuramente ha influito sulla tua arte e la scrittura. I Castelli Romani, come li definiresti con un aggettivo?
R: Crescere li mi ha influenzato tanto che non so se ci riesco con un solo aggettivo. Ma ci proverò parafrasando una frase di ‘Io speriamo che me la cavo’, bellissimo film: “i castelli romani sono come una bellissima venere distesa sull’erba. Ma in putrefazione e con le viscere di fuori”. Sono dei luoghi meravigliosi e con persone fantastiche (anche se non molte). Ma con dinamiche sociali molto limitanti, a volte schiaccianti, che ti mortificano. Con realtà di vita brutali ed impedenti. I grandi spazi aperti si scontrano con le enormi chiusure mentali e lo squallore e l’ignoranza si scontrano con la gentilezza e la semplicità. Tutto questo mi stava molto stretto e alcune cose mi hanno lasciato cicatrici profonde. Ma sono contento di essere cresciuto immerso nella natura, giocando fra la terra e gli animali invece che fra asfalto e cemento. Lì ho lasciato un pezzo di cuore, fra lacrime e sangue. Come con una grande storia d’amore finita male.
D: I tuoi appuntamenti futuri?
R: Ho in programma l’uscita di altri singoli, con i quali spero di accompagnarvi nel racconto in un piccolo viaggio metaforico e metafisico che ho fatto per arrivare fino a qui. Sto organizzando anche un piccolo tour in giro per l’Italia e spero di suonare tanto e ovunque. Fondamentalmente ho molta voglia di camminare e nessuna intenzione di fermarmi e, se vi va, possiamo camminare insieme.
Sergio Cimmino
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