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Crash Bandicoot 4: It’s About Time, il ritorno nostalgico degli anni ’90

La serie Crash Bandicoot ha sempre occupato uno strano posto nel pantheon dei giochi platform.

Non offre la pura gioia del movimento e della scoperta che ha alimentato i giochi di Super Mario, né lo spettacolo tecnico che guida ogni nuovo titolo di Ratchet e Clank. Eppure, c’è qualcosa di caratteristico in Crash: la prospettiva sopra le spalle, il movimento “rimbalzante”, l’atmosfera anni ’90. Ha ambizioni più piccole, ma di conseguenza è molto più concentrato. E a quanto pare niente di tutto ciò è cambiato nell’ultimo capitolo.

Crash Bandicoot 4: It’s About Time è il primo gioco di Crash in assoluto dal 1998, quando la serie era un’esclusiva per PlayStation sviluppata da Naughty Dog, uno studio ora meglio conosciuto per Uncharted e The Last of Us.

Non è cambiato molto negli anni successivi. Mentre i contemporanei come Super Mario 64 si concentravano sull’esplorazione di grandi spazi aperti, la trilogia originale di Crash era molto più semplice; i giocatori correvano essenzialmente lungo un corridoio, saltando sui cattivi e raccogliendo oggetti. Occasionalmente l’inquadratura si spostava su una prospettiva a scorrimento laterale, con le battaglie coi vari boss che rivoluzionavano un po’ tutto. Era semplice, ma funzionava bene.

Questa struttura rimane in gran parte invariata in It’s About Time. Invece di cambiare la formula, gli sviluppatori hanno cercato di costruirci sopra con alcune nuove idee. Si passa ancora la maggior parte del tempo a rimbalzare sui cattivi e a spaccare scatole per raccogliere pezzi di frutta. Ci sono anche alcune ambientazioni più grandi, tra cui alcune scene particolarmente movimentate in cui un grosso nemico cattivo ti insegue, e una mossa sbagliata significa ricominciare da capo.

La maggior parte delle nuove caratteristiche si basano sul mondo di Crash e la più notevole è sicuramente l’inclusione di maschere che conferiscono poteri temporanei.

Il bello di queste maschere è che aggiungono qualcosa all’esperienza di Crash senza snaturarlo; sono nuove dinamiche che non alterano in modo sostanziale il gioco.

Un’altra cosa che non è cambiata è la difficoltà. It’s About Time può essere un gioco difficile, ma la sua struttura semplice fa sì che le parti difficili siano particolarmente difficili. In quasi tutti i casi c’è un solo modo per risolvere un puzzle. Quindi, se si rimane bloccati, si ripete la stessa fastidiosa sequenza di salti più e più volte fino a quando non si riesce a risolverlo.

Se non altro, It’s About Time è ammirevole perché si aggrappa saldamente a quello che è. Non è un’audace reinvenzione di un classico. È il gioco che conosciamo, con qualche ritocco.

Mario Barba

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