Ma per combattere il razzismo, un problema molto serio, è davvero necessario fare la “guerra” a determinati alimenti?
E’ quello che si chiede la testata Vice, riprendendo le polemiche sorte negli ultimi giorni per la decisione dei supermercati svizzeri Migros di togliere dal commercio i Mohrenkopfe, ovvero le teste di moro, per non urtare le sensibilità.
Ebbene sì, anche attraverso gli alimenti e le denominazioni si può andare a fondo e conoscere nel dettaglio il passato colonialista italiano. Basti pensare alla storica pubblicità delle Morositas, o anche a molti spot di caffè dove vengono proposte donne nere con nomignoli come “cioccolatina” o “moretta”.
E il caffè marocchino? In questo caso no, non c’è traccia di razzismo, sebbene questo termine venga usato a Bologna per indicare persone provenienti dal Sud Italia. Il primo bar in cui veniva servito, il Bar Carpano di Alessandria, aveva in vetrina un cappello di cuoio marocchino, con un colore che ricordava molto quello del caffè.
La “Moretta” di Fano sembra invece derivare dall’etichetta di uno dei tre liquori che vengono usati per la ricetta: molti rum presentavano l’immagine di una “mureta”, ovvero di una donna di colore.
Ancora più evidente è il caso delle liquirizie Tabù, con la storica figura dell’uomo nero dove si intravedono solo occhi, mani e labbra bianche e un papillon rosso. In pochi sanno che quell’immagine è ripresa da Al Jolson, un musicista russo naturalizzato statunitense che utilizzava la caricatura di un uomo afroamericano – nota come Blackface – per esibirsi nei suoi spettacoli.
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