La quarantena che stiamo vivendo attualmente, e la conseguente convivenza genitori-figli, quasi incessante, può far emergere dinamiche familiari nascoste.
Il passare la stragrande maggioranza del nostro tempo in casa può farci nascere l’esigenza di sentirci collegati al mondo esterno attraverso la condivisione nei social di foto e video che ritraggono noi e i nostri familiari.
Già precedentemente, dalla diffusione dei social-media, si è sempre più affermata la tendenza del cosiddetto Shareting.
La parora sharenting è un anglicismo che deriva dalla parola share, che significa “condividere” e parenting, che significa “genitorialità”.
Questo termine è stato coniato per descrivere il fenomeno riguardante l’inclinazione dei genitori a sovraesporre i bambini e gli adolescenti sulle piattaforme digitali.
La pubblicazione di post con le foto dei propri figli non avviene una volta ogni tanto, ma è l’abitudine a farlo in maniera ripetitiva e compulsiva: il problema legato allo sharenting, insomma, non è condividere in sé, ma l’incapacità di stabilire i confini, di sapere cosa e quanto condividere.
Lo sharenting può essere dannoso per diversi motivi:
- Perdita della privacy. L’identità digitale che creiamo condividendo diversi contenuti sui nostri figli rischia di dare in pasto alla rete la loro privacy.
- Cyberbullismo. Attraverso la condivisione, rischiamo inconsapevolmente di favorire molestie o intimidazioni online, in quanto facilitiamo l’accesso alle nostre informazioni e a quelle dei nostri figli.
- I bambini potrebbero diventare bersagli di frodi per via dei dati presenti in rete.
Lo sharenting si ripercuote anche sulla vita emotiva dei bambini. Nella maggior parte dei casi vengono pubblicate informazioni su di loro senza nemmeno consultarli.
Oltre a non rispettare un principio etico, rischiamo di causare danni in futuro. Da grandi e consapevoli, potrebbero non essere d’accordo o sentirsi feriti, offesi o irritati per quanto pubblicato. Anche se le reazioni potrebbero non essere per forza negative, bisogna comunque tenerne conto.
Dovrebbe, dunque, preferirsi, il ritorno al dialogo genitore-figlio e gettare le basi per un rapporto solido e reale piuttosto che virtuale.
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